Il circo di Rinaldo Orfei “in ostaggio” a Palermo per colpa del Covid. Il clown Vladi: “Morale a terra ma continuo a truccarmi”

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Vi riportiamo un articolo sul Circo Rinaldo Orfei scritto da Claudia Brunetto e uscito stamattina su La Repubblica Palermo.

Circo Rinaldo Orfei. La compagnia da cinque mesi è bloccata nel quartiere Brancaccio. Dalla parrocchie alla Coldiretti, ecco chi aiuta artisti e tecnici a sopravvivere

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Il fazzoletto di scena che spunta fuori dalla tasca del costume non serve più.
Adesso c’è bisogno di un pezzo di carta per asciugarsi le lacrime e tamponare il trucco sfatto. Lacrime vere che Vladi, uno dei clown di circo più anziani al mondo con i suoi 73 anni, versa ogni giorno passeggiando con i suoi piedoni di stoffa e il naso rosso di gomma nel piazzale accanto al centro commerciale Forum che a Natale avrebbe dovuto accogliere il pubblico per lo spettacolo di Rinaldo Orfei. Dal suo arrivo a Palermo lo scorso ottobre, però, il tendone non è mai stato montato a causa della pandemia e Vladi che non si allena più ogni giorno perché le ginocchia non reggerebbero, ripete i “numeri” nella sua testa. Passo dopo passo. «Quando il fazzoletto si mostra per la prima volta al pubblico è pieno di polvere, poi lo uso per asciugare il finto sudore. Poi c’è la giacca: non riesco ad appenderla all’attaccapanni, cade e ci riprovo, cade e ci riprovo, finché la arrotolo e la metto sotto al tappeto», dice Vladi.

Truccarsi e indossare il costume di iuta pieno di toppe che la madre ha cucito per lui trenta anni fa è il suo antidoto alla nostalgia. «Magari c’è qualcuno in visita al centro commerciale che vuole fare una foto. Meglio essere truccati e con il costume addosso. Il morale è a terra, non so quando si accenderà di nuovo la luce su di me per entrare in scena. Noi del circo siamo abituati a lottare. Se non si può lavorare in un posto andiamo in un altro, ma adesso ovunque c’è la pandemia. Ho pensato anche di lavorare a cappello nei giardini pubblici, ma non si può perché la gente non deve avvicinarsi. Vivo in un incubo», racconta piangendo.

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Trucco e costume lo aiutano a sentirsi vivo, ma la sua vera risorsa è Jasmine, la figlia di 7 anni che la mattina va a scuola nel quartiere di Brancaccio e il pomeriggio con lui ripassa alcuni numeri. «Mi aiuta, suona le bottiglie e le campanelle», dice il clown.
La mattina la accompagna a scuola, poi la riprende a ora di pranzo e nel pomeriggio la aiuta a fare i compiti. Intanto cerca di attrezzare il suo nuovo spogliatoio. «Sto finendo di sistemarlo – dice il clown a La Repubblica – devo mettere un armadio per i costumi e uno specchio, ho già comprato tutto per l’impianto elettrico».
La sua casa è il circo da tante generazioni. Nella sua famiglia si tramandano il mestiere e lui stesso è nato clown . La sua casa adesso, però, lo tiene in trappola. Non può lasciare Palermo e in ogni caso non ha un’altro luogo in cui tornare. Nato a
Genova e cresciuto in provincia di Novara ha sempre viaggiato.
«Di cose ne ho viste. È capitato di dovere interrompere gli spettacoli per ragioni politiche, per terremoti con la gente che lasciava le case per ripararsi sotto il tendone. Ma mai siamo stati fermi così a lungo, senza sapere quando poter ripartire. La pandemia mi fa piangere», dice Vladi.
Anche perché fare ridere è un mestiere davvero difficile. Adesso più che mai. Le sue giornate nel circo che non c’è sono fatte di passeggiate e pensieri. Il container dove dorme e mangia con la moglie e la figlia è troppo stretto per tutto quello che
passa nella sua testa. Pensa a Stanlio e Ollio, a Buster Keaton, ai grandi maestri.
«Mio padre mi diceva sempre che fare il clown è un mestiere durissimo. Mi ha insegnato a fare i salti mortali, a stare in equilibrio sul filo e sulle scale libere. Quando fai il clown per il circo devi entrare in scena quando serve. Se c’è un intoppo tocca a te entrare. E devi sapere fare qualcosa», dice Vladi. Il pubblico sa essere spietato. «Soprattutto in Italia è molto critico, per tirare qualcuno in scena devi sudare sette camice», racconta.
A Palermo è tornato quattro volte dagli anni ’60 a oggi. L’ultima a settembre, a Trapani, per uno spettacolo tutto pensato per i bambini. «Con i miei colleghi ci vestivano da supereroi e da personaggi dei cartoni animati. Lo spettacolo è piaciuto molto», dice Vladi.
Il circo, si sa, è una grande famiglia e adesso al Forum vivono una cinquantina di persone di realtà diverse. Lui dà una mano dove serve.
E c’è chi aiuta lui e i suoi compagni di viaggio. «Se si deve dare da mangiare alle oche o agli elefanti mi faccio avanti. Il quartiere ci ha aiutato, la parrocchia della zona, i supermercati con la spesa, la Coldiretti che ha regalato il fieno per gli elefanti.
Un grande cuore ci riscalda».
Mentre piange, Vladi, chiede ai suoi compagni di scena: «Che ore sono?». Alle 12,30 toglie il costume e si mette in macchina per andare a prendere Jasmine a scuola. Poi torna con lo zaino rosa della bambina sulle spalle. Jasmine è orgogliosa del suo papà che davanti a lei trattiene le lacrime. «Mio padre non è il numero uno, è tutti i numeri del mondo», dice Jasmine. Insieme pranzano nel container. In attesa di ripassare ancora qualche gag. Prima o poi si torna in scena.

Di Claudia Brunetto

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Foto di Igor Petyx

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