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Edek, il clown filosofo

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[ESCLUSIVA]Carissimi lettori di Passione Circo, abbiamo deciso di farvi una bellissima sorpresa che speriamo sia di vostro gradimento. La figura del clown intorno alle parole di Edek, il tutto raccontato grazie ad un ampio estratto del libro Circus Pride redatto da Ilaria De Bonis, che ringraziamo: «Ho scelto questa vita perché mi piaceva viaggiare e vedere il mondo. Il clown nel mio caso è una professione che è venuta dopo, ed è più un lavoro intimo con me stesso che non un mestiere estroverso», mi spiega Edek, clown del Circo Aqua.
Cosa intenda per intimo lo capisco quando suona. Il djembe africano che usa è uno strumento a percussioni non facile. Lui dice che «rappresenta il ritmo del cuore. I bambini mi seguono in quei minuti di spettacolo, perché sono davvero connessi con sè stessi e con la loro natura! Conoscono questa chiamata».
Gli adulti, invece, ricordano meno i suoni ancestrali, non riconoscono più il ritmo che viene da dentro. Hanno perso l’istinto. «Dobbiamo ascoltarli un po’ di più i bambini – dice Edek – per ritrovare quello che manca a noi». In scena duetta col pubblico infantile in modo commovente.
Per lui ovviamente la finalità terapeutica dello spettacolo dei clown (se c’è), riguarda gli adulti, non i bambini: «qualcuno di noi è già morto e non lo sa – dice ridendo – ma altri possono essere aiutati a rinascere!». La clownerie come psicoterapia, dunque, non della risata, ma della riconnessione
profonda con il proprio sé. Non mi aspettavo una conversazione filosofica così elevata sul senso della rinascita.
La confessione intima prosegue: «La commedia è stato il mio primo grande amore – mi dice ancora il clown –. Quando ero adolescente non amavo i clown, pensavo fossero stupidi. Poi ho incontrato persone che mi hanno mostrato che invece sono sacri. Il clown può diventare uno sciamano perché gioca con le tue emozioni. Porta gioia nella tua vita di quel momento».
Esorcizza paure, compie gesti simbolici, libera l’anima schiacciata da qualche dolore.
Tra l’altro, come tutte le arti performative, anche quelle circensi risalgono allo sciamanesimo primitivo. Il tema si fa ancora più complesso e profondo. Penso a La Gioia, commedia di Pippo del Bono, dove va in scena un circo animato da clown e sciamani che liberano anime.
«Abbiamo bisogno di gioia – mi dice anche Edek – abbiamo bisogno di danzare e di cantare in strada, non solo sul palco. «Sacerdoti e sciamani hanno questo ruolo di custodia e risveglio del mito, tramite la dimostrazione reale o fittizia di abilità fisiche soprannaturali. È lo stato di trance, reale o apparente, accompagnato da percussioni o droghe, che conduce a convenzioni sempre più codificate di evocazione del mito attraverso la danza, teatro, acrobatica, illusionismo, con cui si dava potere ad ogni cosa». Ecco cosa insegnano i clown: la vita è troppo seria. Abbiamo bisogno dello spirito dei clown, sempre. Non solo al circo!».
Questo clown belga sembra un intellettuale che deve aver molto letto e mi chiedo perché abbia scelto la strada, anziché l’accademia. Mi risponde prima che io apra bocca. «La strada è il posto migliore dove puoi incontrare ogni tipo di “personaggio”», e ride.
È vero, la strada è fonte di ispirazione per una persona di teatro. Ancora di più per un clown. Ognuno di noi è spesso così comico, così grottesco, ridicolo, senza neanche rendersene conto. Quando cito il film Clowns di Fellini, Edek che conosce molto bene tutte le opere del regista, dice di avere la pelle d’oca e si sente onorato di far parte di quella categoria.
In una scena di questa inchiesta sul mondo perduto dei clown il regista va a Parigi, «dove i clowns di talento sono diventati celebri e hanno avuto la loro consacrazione», e dialoga con uno dei più importanti storici del circo, Tristan Remy, appunto. Remy gli chiede: «Ma perché lei vuole fare un film sui clown? Il mondo del circo non esiste più, i veri clown sono scomparsi».
Fellini dimostrerà che non è un mestiere morto. Li va a cercare ovunque, li fa sfilare, arriva perfino in una casa di riposo. Poi la discussione vira su Antonet, il più celebre dei clown bianchi, e su altri miti francesi30. Ecco, la domanda me la pongo anch’io: ha senso dire che esiste ancora oggi un’arte della clownerie, del mimo? In Italia è una professione considerata poco ‘nobile’ oggi.
In Nord Europa fa parte delle discipline più elevate che si insegnano nelle scuole di teatro. David Larible è ancora oggi acclamato in tutta Europa. Ma ci sono diverse eccezioni anche da noi: non sono tutti stereotipati i clown nostrani. Anzi. Un altro clown, oltre a Edek, che mi ha colpito molto, l’ho incontrato al circo Royal. È Elder dell’Acqua, in arte clown Ridolini. Elder forse non ne è consapevole, ma è un
vero attore. Giovane, molto creativo, parla con gli occhi. Ha una mimica facciale e fisica intensissima, una luce notevole nello sguardo ed è capace di intrattenere a lungo i bambini. Anche solo con il gioco dell’acqua in bocca o facendo il mimo.
Insomma, Ridolini ha un dono. Come ce l’ha quest’uomo belga che delicatamente entra in sintonia con i più piccoli. E con gli adulti che non hanno perso il loro lato bambino. «Il mio studio non è scolastico – mi spiega ancora Edek –. Io costruisco il mio personaggio dentro lo show. Il mio clown cambia in base alle cose che vedo, alle volte in base al pubblico.
È straordinario… Io credo che ognuno di noi dovrebbe sempre di più entrare nel mondo del clown, anche nella vita quotidiana. Basta sorridere. È facile: sorridere sempre, sorridere a tutti». Trovare il lato leggero anche nella tragedia umana. Charlie Chaplin in questo è stato un maestro assoluto. Ridere, fuori e dentro il tendone, consente di alleggerire le tensioni, di non avere paura, di godersi la vita. Anche questo è il circo. Noi ‘fermi’ possiamo imparare molto dai circensi.

Di Ilaria De Bonis

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